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Haiku, la delicata poesia giapponese che ha conquistato l’occidente

haiku la poesia giapponese che ha conquistato occidente elena muraro
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Il tetto si è bruciato:

ora

posso vedere la luna.

(Mizuta Masahide, 1657 -1723)

I giapponesi hanno sempre avuto un modo estremamente poetico di rapportarsi al mondo. Dalla tradizione dell’hanami all’arte della calligrafia e dell’ikebana, finanche ai giochi di carte, ogni movimento e osservazione della realtà è addolcito dalla luce dell’armonia. Non c’è da stupirsi che la loro forma di poesia più conosciuta, l’haiku, sia qualcosa di unico nel suo genere.

Haiku, come leggerli?

Questa solitudine

verresti a condividerla?

Foglia di paulonia.

(Matsuo Basho, 1644 – 1694)

Leggere per la prima volta un haiku può lasciare spiazzati. Le reazioni più comuni sono spesso agli antipodi: assoluta commozione oppure perplessità. Ammetto di appartenere al primo gruppo: ho amato questo genere di poesia sin dal primo momento grazie alla sua intensa carica emotiva, e questo mi ha spinta a volerne sapere di più.

Per noi occidentali, gli haiku si presentano in una forma insolita: sono espressione di una tradizione centenaria ma si discostano dai canoni della poesia classica, sono pregni di significato ma lasciano molto spazio al non detto e, cosa più interessante, le immagini rappresentate in una singola poesia sembrano essere scollegate tra loro. Questo vale soprattutto per l’ultimo verso, che in genere crea una sorta di colpo di scena all’interno di ciò che viene raccontato. Come fare, allora, per apprezzarli a fondo?

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L’ermetismo incontra la poesia classica

Un modo per riuscire a entrare nel componimento e coglierne l’essenza è osservare l’effetto che la poesia haiku ha avuto sui poeti nostrani. Dicevo poco fa che gli haiku possono essere considerati poesia classica all’interno della cultura tradizionale giapponese – le prime forme di componimento di questo tipo nacquero nel XVII secolo – eppure a un orecchio occidentale suonano molto più simili alla poesia moderna e al verso libero. Non è un caso che i nostri poeti ermetici più popolari – Quasimodo e Ungaretti su tutti – ne fossero profondamente affascinati.

Prendiamo, ad esempio, uno degli haiku più famosi:

Mondo di sofferenza

eppure i ciliegi

sono in fiore.

(Kobayashi Issa, 1763-1827)

E adesso due poesie del nostro Ungaretti:

Balaustrata di brezza

per appoggiare stasera

la mia malinconia.

(maggio 1916)

***

Su un oceano

di scampanelli

repentina

galleggia un’altra mattina.

(agosto 1917)

Non sembrano simili? In entrambi i casi, sensazioni molto forti sono espresse con poche – anzi pochissime! – parole, eppure il messaggio arriva forte e chiaro. Ed è proprio con questa chiave di lettura che si può comprendere appieno lo spirito della poetica haiku: l’ermetismo incontra la poesia classica.

Una tradizione di quattro secoli

Matsuo Bashō – universalmente considerato il maggior esponente di questo genere di poesia – ebbe il merito di elevare gli haiku a poetica di alta cultura. I primi componimenti, infatti, nacquero come forme di espressione popolare, a tratti persino volgare, e Bashō si occupò di ripulirli delle connotazioni triviali e infondere i versi di cultura zen e ricerca dell’armonia.

Verrà quest’anno la neve

che insieme a te

contemplai?

(Matsuo Basho, 1644 – 1694)

Non solo metrica: parlano le immagini

Quando si tratta di metrica, gli haiku sono una forma di espressione difficilmente replicabile in altre culture. Il giapponese può essere considerato una lingua pittografica, quindi la metrica tiene conto delle more – cioè le singole unità fonetiche – e non delle sillabe, come accade nella poesia occidentale. I componimenti comprendono in totale 17 more, divise secondo lo schema 5-7-5, cioè 5 more nel primo verso, 7 nel secondo e 5 nell’ultimo.

I traduttori, però, preferiscono solitamente discostarsi dalla questa regola per concentrarsi sulle immagini e sulla musicalità delle parole, più che sulla metrica in sé. Prima di tutto, il significato intrinseco del compimento risulta più efficace in questo modo, perché la componente evocativa resta intatta. Del resto la poesia è un’arte, e non può esistere arte laddove le corde più intime dell’animo non vengono pizzicate. In secondo luogo, noi occidentali abbiamo sviluppato in epoca moderna una forma di poesia che si sposa bene con questa tipologia di espressione e siamo abituati a considerare poesia anche componimenti privi di rime o di iterazioni sillabiche.

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Haiku e rivisitazioni moderne

Negli ultimi anni gli haiku stanno diventando sempre più popolari e apprezzati tra gli amanti della poesia. Persino gli psicologi li trovano interessanti e, in alcuni casi, suggeriscono ai pazienti più problematici, ad esempio quelli che soffrono di disturbi alimentari, di provare a creare dei propri haiku: imparare a veicolare emozioni dolorose attraverso le metafore permette di esprimersi senza sentirsi giudicati.

Ma, anche al di fuori dei contesti clinici, moltissimi si cimentano con questo genere di letteratura, creando i propri poemetti e componimenti. I più abili cercano di attenersi alla regola delle 17 more, o sillabe nel nostro caso, altri preferiscono lasciarsi trasportare dalla musicalità delle parole. E non mancano le parodie come questa, che si basa in particolare sul fatto che il terzo verso sembra a prima vista scollegato dai precedenti:

Haikus are wonderful,

but sometimes make no sense.

Refrigerator.

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Haiku, perché li amiamo

Che luna:

il ladro

si ferma per cantare.

(Yosa Buson, 1716 – 1784)

Il merito principale della poesia è quello di spingerci a riflettere attraverso la musicalità delle parole e le emozioni che suscita. E poche forme di poesia sono liricamente intense come questa. Dicevo poco fa che compito dell’arte è toccare le corde più segrete dell’anima, ed è esattamente quello che accade con gli haiku. Attraverso la brevità dei componimenti, miriadi di sensazioni diverse si esprimono forti come una cascata: la caducità della vita, la sua bellezza, l’armonia del creato, il dipanarsi delle stagioni e dell’esistenza, il dolore sottile e la speranza che lo acquieta.

Potrei parlarne per ore, ma finirei con l’annoiarvi. Molto meglio ispirarvi, no? Provate a leggere qualcosa: Bashō, Ogiwara, Tota, Ryōkan, Issa sono alcuni dei massimi esponenti di questo tipo di poetica. Sono davvero curiosa di scoprire cosa ne pensate, cosa vi avrà emozionato e quali riflessioni vi avranno suggerito i componimenti. Venite a parlarne con me in boutique, vi aspetto in Via Bergamo a Roma.

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