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La leggerezza della pietra: i mosaici in piastrelle di Zhanna Kadyrova

Forme, materiali e significati: così Zhanna Kadyrova ha viaggiato per il mondo condividendo la sua arte poliedrica e intensa, sperimentando con tecniche sempre diverse per dar vita alle sue visioni. Nata in Ucraina nel 1981, c’è chi l’ha definita la voce della generazione arancione, quella che dell’Unione Sovietica ha solo ricordi d’infanzia, memorie vaghe ma pur sempre radicate nel profondo.

E proprio nella sua Ucraina natale ha scelto di vivere, riempiendo nel frattempo gallerie e spazi pubblici di Europa e America con le sue insolite creazioni. La sua capacità di muoversi da una forma di espressione all’altra – pittura, disegno, fotografia e scultura – le hanno permesso di far parte delle più prestigiose kermesse del settore, non ultima la Biennale di Venezia, che le ha dedicato una pagina nel portfolio artisti.

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Trasformare un materiale di scarto in arte

È nella scultura che questa artista sempre in movimento – decine di progetti affollano le pagine del suo sito web – riesce a dare il meglio di sé. Ci vuole visione per prendere un materiale grezzo e pesante e trasformarlo in qualcosa di gradevole e leggero. La Kadyrova, infatti, è nota soprattutto per essere l’artista dei mosaici con le piastrelle. Per le sue opere parte da materiali di scarto, soprattutto pezzi di cemento e maiolica, e li trasforma in scenari e oggetti di uso quotidiano, frutta, alimenti e vestiti.

Da un’idea del genere, un significato denso e profondo si fa strada: il passato si reinventa nel presente, diventa futuro, speranza e bellezza. Quello che era un inutile rimasuglio, magari le spoglie di uno scenario devastato dall’abbandono e dall’incuria, rinasce sotto forma di arte. La spigolosità del cemento grezzo si ammorbidisce pur conservando le linee geometriche della piastrella, per un risultato che è movimento. Arte che in qualche modo pulsa e vive nonostante la sua staticità.

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I richiami alla vita quotidiana

Ma il colpo di genio non si ferma. C’è un ulteriore sentore in queste sculture, una voce che sembra raccontare l’anima di quella Ucraina natale, di quei ricordi infantili di lotte e secessione in un luogo che da decenni si rimette in piedi con ogni giorno che passa. È questo quello che emerge dai mercatini di piastrelle e la loro vivacità, dalle cassette di frutta poggiate contro i bancali e riempite con banane, cocomeri e arance poligonali, che pure all’occhio non appaiono poi così strane. Allo stesso modo le tovaglie di piastrelle ‘appese ad asciugare’, un po’ spiegazzate dal vento immaginario che le muove, diventano molto più che un’illusione ottica: la leggerezza della tela che sposa la tenacia della pietra è una presa di posizione.

Fantasmi del passato o attesa del presente?

Lo stesso mezzo può comunicare sensazioni differenti: ecco che la composta armonia dei vestiti di maiolica appesi in rigoroso silenzio contro le piastrelle suggerisce di abbassare la voce, di riflettere. Il modo in cui le sagome degli abiti si stagliano dalla parete, evidenziati soltanto dall’ombra che ne ricalca il contorno come una matita farebbe su un foglio, pretendono che ci si fermi a contemplare. I calcinacci sparsi sul pavimento parlano di abbandono, ma gli abiti puliti e ben ‘stirati’ appesi sulle grucce rivendicano l’idea di casa. Forse quelle sagome non sono che fantasmi, un uomo e una donna invisibili si tengono per mano un’ultima volta, o forse invece sono il simbolo di un’umanità che si è solo assentata un istante, è uscita per andare al lavoro e presto farà ritorno. Forse sono entrambe le cose. E la potenza del messaggio sta proprio in questo.

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