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La trasgressione va di moda, la storia di Vivienne Westwood

Trasgressione: cos’è che la definisce e cosa esattamente la muove? L’andare contro il pensiero dominante a priori è davvero trasgressione, o non si tratta a volte di semplice sconsideratezza? Mi sono fermata di recente a riflettere su questo concetto, sulle voci dissidenti che spesso hanno il merito di puntare un proiettore sulle falle del sistema in cui viviamo, sulle sue storture e sulla necessità di cambiare o normalizzare qualcosa. In un tempo di negazionismo come quello che stiamo vivendo, fermarsi a considerare cosa effettivamente voglia dire andare contro corrente è più che mai fondamentale. Perché alla base di queste voci discordanti di cui parlavo poco prima, è necessario che ci sia un pensiero critico, una motivazione nata non solo dalla voglia di sconvolgere, ma dal desiderio di un cambiamento. La capacità di scioccare non è che una conseguenza.

Baluardo di questa provocazione mossa da convinzioni profonde è senza dubbio Vivienne Westwood, icona e simbolo stesso del punk che ha definito una generazione, e della cascata di conseguenze che questa rivoluzione ha portato nella società.

Una ribelle in grado di riscrivere le regole della moda

Riassumere in qualche riga ciò che la Westwood ha rappresentato per la moda non è un compito semplice: limitarsi a definirla la voce fuori dal coro per eccellenza sarebbe riduttivo. Tante sono state le ideologie che ha esplorato e le cause per cui si è battuta, anche lontano da palchi e passerelle, non ultima una sorta di inversione di rotta che negli ultimi tempi l’ha portata a riallinearsi con la maggioranza.

La sua scandalosa irriverenza le ha fruttato notorietà e non solo: nel corso degli anni ha ispirato mostre fotografiche a lei dedicate, un’autobiografia uscita nel 2015 – con una Westwood ormai ottantenne ma sempre spregiudicata –  e un film uscito lo scorso anno. Per non parlare dell’Order of British Empire, onorificenza concessale dalla Regina Elisabetta nel 1992, che la Westwood ha ricevuto indossando un elegante completo grigio e… nient’altro.

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Dalla povertà alle passerelle di tutto il mondo

Vivienne Westwood è la protagonista di una storia unica nel suo genere: nata dal nulla, si è fatta strada in un mondo spietato come quello della Londra degli anni ’60, forte di un talento fuori dal comune che ha cominciato a esprimersi già durante l’infanzia. Un’infanzia vissuta con ben pochi mezzi, se si pensa che l’abito nuziale indossato dalla allora Vivienne Swire fu da lei confezionato con materiali di fortuna.

L’incontro epocale con Malcolm McLaren, futuro manager dei Sex Pistols, segna un punto di svolta nella carriera di questa aspirante stilista: insieme aprono il Let it Rock un negozio al 430 di King’s Road di Londra, un retrobottega affittato per poche sterline destinato a fare la storia di una generazione. Reinventatosi più e più volte, esattamente come la titolare, il negozio cambia nome diventando prima Too fast to live too young to die, e infine Sex. La coppia Westwood-McLaren riesce a mettere in discussione le regole della moda creando uno stile violento, fatto di tessuti stracciati, borchie e colori forti, capelli spettinati e stampe provocatorie. Un po’ come dire che, quando la propria voce resta inascoltata, allora lasciamo che sia lo stile a urlare per noi. E riuscire a portare in passerella capi eccessivi, colori rumorosi e modelli tatuati – molto prima della normalizzazione del tatuaggio – o servirsi di testimonial come Sid Vicious e John ‘Rotten’ Lydon è impresa non da poco, perché poi ci vuole talento per prendere un’attitudine del genere e riuscire a trasformarla in qualcosa di innegabilmente chic.

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Col tempo lo stile si affina e si contamina di influenze storiche, spesso barocche, ma sempre ben amalgamate in un colpo d’occhio che sembra ripetere e ricordare al mondo che la coerenza con se stessi e le proprie idee è l’unica via possibile. L’impronta punk resta, ma si adatta allo spirito del tempo e alle crociate che la stilista intraprende man mano che cresce come persona e come artista. Si schiera contro politiche governative scorrette e – soprattutto – lotta perché la moda diventi più sostenibile a livello di impatto ambientale. Lo slogan della sua maison è “Buy less, choose well, make it last”, cioè “Compra meno, scegli meglio e fa’ che duri”, un’idea a dir poco insolita in un mondo in rapida evoluzione come quello degli stilisti, dove invece è necessario essere sempre al passo con le tendenze più recenti. Ma, come lei stessa fa notare:

“La rivoluzione climatica è punk. Il punk vive! Stesso atteggiamento, ma con idee più sviluppate, più solide e spero più efficaci nel cambiare la Terra di quanto non siano state in passato”.

Gli ultimi anni e il cambio di rotta

E così, dopo una vita da dissidente, oggi Vivienne Westwood continua a stupire con un’inversione di tendenza: muoversi in parallelo con le voci dominanti. Ripensamenti? Forse. O forse no.

La nuova filosofia nasce dalla consapevolezza che la globalizzazione può rendere mainstream qualunque idea, se venduta in maniera efficace. Ma, se il mondo può davvero instradare le tendenze su binari che mutano come il vento, allora l’unica soluzione valida è avere principi saldi e seguirli senza curarsi della voce dominante. Così la Westwood ha scelto di essere produttrice di sé stessa, esprimersi con autenticità, non più lasciandosi guidare da un desiderio di scioccare, ma solo da ciò in cui crede, che a volte può persino essere condiviso dalla maggioranza.

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C’è chi dice che la Westwood sia più punk ora che negli anni ’60. È forse questo il destino di chi apre nuove strade: arrivare a un punto in cui la propria idea di contestazione è finalmente normalizzata. E allora c’è da fare una scelta: continuare ad andare contro a priori, come se altrimenti si perdesse la propria identità di voce fuori dal coro, oppure rallentare e permettersi di essere autentici finalmente senza dover alzare la voce. E, in nome di quel pensiero critico di cui parlavo poco fa, la scelta giusta è nelle mani di chi è talmente consapevole di sé da non sentirsi minacciato.

Sempre rimasta fedele ai suoi principi, forse è proprio per questo che il suo cambio di rotta stupisce, ma solo fino a un certo punto: ambientalismo e trasgressione ora sono sdoganati, moralmente compresi o quantomeno accettati. Missione compiuta, verrebbe da dire. Tutto grazie a un incontro avvenuto più di 50 anni fa e alla capacità testarda di essere sempre e comunque se stessi.

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