Cortesia e rispetto sono alla base di una civile convivenza con gli altri. Non c’è da stupirsi, quindi, che con l’evolversi della società si sia sentito il bisogno di delineare un insieme di regole da seguire nelle occasioni di incontro, e un compendio pressoché universale di buona educazione ed eleganza non poteva che nascere in Francia, terra madre di classe e raffinatezza.
Bon ton è un’espressione che veicola un concetto semplice eppure ricco di sfaccettature: potremmo dire che una traduzione approssimativa sia buone maniere, ma resterebbe una locuzione generica. Il bon ton è un insieme di norme comportamentali che coprono una vastità di occasioni e riguardano ogni aspetto dell’interazione con altri.
Portamento, gestualità, interazioni e abitudini sono alcune delle eventualità coperte da queste regole condivise, e conoscerne il cerimoniale è un tale segno di buona educazione che in passato lo si indicava addirittura come savoir vivre, cioè saper stare al mondo.
Bon ton è quindi, per grandi linee, sinonimo di Galateo e di etiquette, del resto lo scopo stesso di Monsignor Della Casa – che nel XVI secolo scrisse i manuali oggi conosciuti come base del galateo – era proprio quello di fissare per iscritto le regole del bon ton perché potessero essere tramandate.
Bon ton, una tradizione lunga sei secoli
Il cerimoniale del bon ton nacque durante il Rinascimento negli ambienti cortigiani francesi – un distacco di fatto da un Medioevo ancora percepito come epoca oscura – e si rifaceva per molti versi alle pratiche cavalleresche. Lo scopo delle regole era quello di preservare il rispetto degli altri, degli ambienti e della morale comune.
Era un modo per esprimere quell’onestà virtuosa cantata dai poeti attraverso il decoro e il comportamento. Lo stesso Monsignor Della Casa era una figura di grande autorità, da molti vista come intimidatoria proprio per la sua capacità di influenzare gli altrui comportamenti ponendosi sempre in maniera raffinata e gentile.
A onor del vero, va sottolineato che questa cultura dell’educazione è comunque figlia del suo tempo e alcune regole da essa contemplate potrebbero oggi suonare antiquate, troppo rigide e in alcuni casi persino offensive. Un esempio su tutti è la netta distinzione tra i doveri dell’uomo e della donna – definiti a priori da una catalogazione binaria – oltre che quelli all’interno della coppia, che è per definizione etero e consacrata dal matrimonio.
In questo articolo, quindi, cercherò di prendere come riferimento le regole di bon ton più universali, filtrandole attraverso la forma mentis contemporanea, cercando di preservare prima di ogni cosa il rispetto dell’altra persona, indipendentemente dalla sua identità e dal suo ruolo all’interno della comunità.
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Regole di bon ton: come comportarsi nella società moderna
Passiamo all’atto pratico: come si è evoluto il bon ton nell’era contemporanea e quali sono le regole da seguire nella società attuale per essere sempre ospiti e compagni impeccabili?
Sebbene figlio di un cerimoniale cortese ormai retaggio del passato, in molti abbiamo amato il modo in cui l’etiquette è stata utilizzata in alcuni film molto popolari per dare profondità alla scrittura dei personaggi.
Mi viene in mente un’irresistibile Julia Roberts che, in Pretty Woman, si ritrovava catapultata nel jet set Californiano direttamente dai marciapiedi di Hollywood Boulevard. Da donna derisa per la provincialità dei suoi costumi la vediamo diventare una raffinata compagnia, un vero schiaffo in faccia ai fautori delle alte origini, costretti ad accettare il fatto che l’eleganza è propria soprattutto dell’animo, le buone maniere non ne sono che un complemento.
O ancora l’indimenticabile Audrey Hepburn in My Fair Lady: una donna introdotta alle alte sfere inglesi per scommessa, da vittima di un gioco classista diventa padrona delle movenze che le vengono insegnate fino a rubare il cuore del suo stesso burattinaio, rovesciando le parti del gioco con la sua innata gentilezza di spirito.
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Scegliere l’abbigliamento adatto secondo il bon ton: attenzione al contesto!
Si dice che ci sia una sola occasione per fare una buona prima impressione, quindi meglio essere preparati! Al di là dell’etiquette, è pur vero che il nostro aspetto può essere un biglietto da visita di cui dar conto ancora prima di incontrare un’altra persona, quindi scegliere il proprio abbigliamento nel rispetto del contesto in cui ci troveremo ad agire, naturalmente senza perdere la nostra impronta personale, può in realtà giovare soprattutto a noi stesse.
Un buon inizio è aver cura che i vestiti siano ben stirati e non appaiano trasandati, ma ancora di più che l’igiene personale sia curata, in modo da non apparire sporchi, pigri o trascurati, altrimenti l’altra persona potrebbe pensare che l’incontro con lei è per noi di poco valore.
1. In ufficio: abbigliamento pratico e sobrio
In ufficio il nostro abbigliamento dovrà trasmettere un’idea di professionalità e serietà: tailleur in colori neutri per le donne, cravatte ben annodate e vestiti coordinati per gli uomini. Da evitare minigonne, scollature e scarpe aperte. Se queste ultime norme suonano un po’ antiquate, le si potrebbe ancora considerare utili se si pensa alla scomodità di svolgere i compiti lavorativi con abiti che impediscono i movimenti o in generale troppo mobili. Più che di decoro, definizione che spesso lascia il tempo che trova, è una questione di praticità.
2. Occasioni speciali: l’eleganza non ha bisogno di ostentazioni
Un certo rigore è richiesto per cene di gala o occasioni teatrali: largo a un bell’abito originale, ma senza esagerare con colori troppo forti, poiché ogni ostentazione potrebbe suonare volgare o sintomo di poca sostanza.
Un’occasione interessante per mettersi alla prova con il bon ton potrebbe essere quella di una corsa di cavalli. Il Royal Ascot, ad esempio, è un contesto dal dress code rigidissimo ma, una volta superata la fase in cui ci si sente limitati da così tante norme e imposizioni, una giornata lì potrebbe diventare una divertente incursione in un mondo che sembra saltato fuori da un romanzo dell’800! Tra carrozze, champagne e gli immancabili cappellini, varrebbe la pena di lasciarsi guidare un poco per la durata di un pomeriggio.
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Presentarsi a qualcuno secondo le regole del bon ton
È il momento di conoscere qualcun altro durante un’occasione formale, come comportarsi? La risposta è semplice: con gentilezza e tutto andrà bene.
Il Galateo, seppur redatto diversi secoli or sono, suggerisce di presentarsi in primo luogo alla persona più importante presente. Quale che sia questa persona può dipendere da diversi fattori: potrebbe essere il titolo di studio, l’appartenenza a un’élite nobiliare oppure – più probabilmente – il ruolo che essa rivestirà durante la serata.
Non stringere la mano da seduti ma aver cura di alzarsi, introdursi e aspettare che la persona alla quale ci siamo appena presentati ci porga la sua mano per prima è un gesto di rispetto molto sottile, ma sicuramente apprezzato.
Un’altra gentilezza è togliere gli occhiali da sole quando si parla con qualcuno, altrimenti lo priveremmo della possibilità di guardarci negli occhi, cosa che potrebbe farlo sentire poco considerato.
Il bon ton a tavola: 3 semplici regole per rendere tutto più fluido
In un articolo precedente ho illustrato come allestire la tavola e la sala in occasione di una cena importante. Ma come comportarsi quando noi siamo invitati a casa di qualcun altro?
L’etiquette da seguire a tavola è uno dei cerimoniali più complessi, con molte regole e convenzioni che di recente si sono anche aggiornate per essere al passo con l’era digitale, ma a volte potrebbe essere difficile star dietro a ogni norma.
Cerchiamo, allora, di partire prima di tutto dall’idea che sta alla base di ogni regola: il principio generale è essere sempre distinti e non mettere a disagio i padroni di casa o gli altri ospiti.
1. Una postura discreta ci aiuta a non urtare o infastidire gli altri
Il galateo ci vorrebbe con braccia strette, schiena dritta e non appoggiata allo schienale, tovagliolo sulle gambe e niente gomiti sul tavolo. Una rigidezza che, in fondo, ha lo scopo di evitare caotici movimenti di braccia che potrebbero portarci a invadere lo spazio altrui. In effetti non è un’eventualità piacevole quella di rovesciare qualcosa addosso a un altro ospite… o di un altro che la rovesci su di noi!
2. Aspettare gli altri prima di cominciare a mangiare permette a tutti di rifocillarsi
Quanta comica amarezza era presente in quella scena di Miseria e Nobiltà, quando la famiglia Sciosciammocca si avventava su una tavola imbandita dopo aver inutilmente cercato di mantenere un contegno contro i morsi della fame?
Un principio simile si riflette nell’abitudine di non iniziare a mangiare finché il padrone di casa non comincia il suo pasto per primo. Non si tratta tanto di rispetto dell’autorità, quanto di una questione cronologica: il padrone di casa è generalmente l’ultimo ad essere servito, quindi aspettare lui corrisponde a fare in modo che tutti possano cominciare a mangiare, senza che nessuno resti a guardare mentre gli altri si rifocillano.
Armonia e condivisione restano il principio alla base del pasto in compagnia: si passa alla portata successiva solo quando tutti hanno consumato quella corrente – o fatto cenno di ritirare il piatto – e il pane si mangia durante le portate, non prima del pasto o tra una portata e l’altra. È come una danza in cui l’atto del nutrirsi avviene in sincrona coordinazione.
3. La tavola è soprattutto un momento di convivialità
Condividere il desco è un’esperienza di comune piacere e gratitudine, dove ognuno apprezza e accetta il cibo che viene servito, senza la necessità di aggiungere sale o condimenti non previsti.
Ci si serve solo dopo aver servito gli altri, ci si versa da bere dopo averne versato agli altri: ogni gesto racchiude un messaggio di cortesia che ci si dona a vicenda, siamo tutti uguali davanti alla tavola, tutti disposti a servirci l’un l’altro come fratelli di un’unica famiglia.
È una forma mentis talmente sentita da essersi adattata ai tempi moderni, con la regola di non poggiare cellulari o tablet sulla tovaglia: il desco è un’occasione di convivialità dove dare agli altri la nostra completa attenzione.
3 suggerimenti rapidi per le eventualità più comuni
1. “Buon appetito”, sì o no?
Come molti ormai sanno, non è considerato elegante dire “Buon appetito” prima di un pranzo o una cena. Tuttavia potremmo essere abituati ad augurare un piacevole pasto agli altri commensali e sentirci a disagio nel non poterlo fare. In fondo fa parte di quell’atmosfera di convivialità e gratitudine di cui parlavamo poc’anzi!
Alternativa rapida: possiamo fare un cenno con la testa e magari abbozzare un sorriso. Stesso principio prima di un brindisi: lasciate che siano gli occhi a palare, accompagnandoli con un lieve movimento del braccio.
2. Pietanze “difficili”, come comportarsi?
Partendo dal presupposto che difficilmente dovremo confrontarci con un menu come quello previsto dalla Serbelloni Mazzanti nel Secondo Tragico Fantozzi, alcune pietanze potrebbero richiedere più attenzione di alte per essere consumate.
Partiamo da un’eventualità tutta italiana: gli spaghetti andrebbero arrotolati sulla forchetta e consumati in un boccone. Lo sanno tutti, no? Dipende.
Alcuni commensali potrebbero non avere la stessa abitudine. Può darsi che invece siano abituati a tagliarli o risucchiarli verso la bocca… quest’ultima eventualità sarebbe da evitare, perché c’è il rischio di bruciarsi le labbra o macchiare tovaglia e abiti con qualche schizzo di condimento.
Passiamo a minestre e brodi, la vera croce e delizia delle occasioni formali. Andrebbero consumati cercando di mantenere una postura dritta ed elegante: sarà quindi il cucchiaio ad andare verso la bocca, e non il busto ad avvicinarsi alla tavola. Infine, per raccogliere le ultima cucchiaiate, il piatto andrebbe inclinato esternamente, una regola in realtà molto utile, perché inclinarlo verso di noi potrebbe togliere spazio ai nostri movimenti e portarci macchiare la tovaglia.
3. Farsi capire dai camerieri in maniera discreta
Quando abbiamo concluso con una portata, disporremo le posate nel piatto, l’una accanto all’altra con i rebbi verso l’alto. È un modo sottile per far capire ai camerieri che è il momento di liberare il coperto. Ma se avessimo la necessità di allontanarci prima di aver concluso con una portata? Poiché generalmente è buona regola non alzarsi da tavola, possiamo disporre le posate nel piatto alle otto e venti, un segnale per evitare che ci venga portata via la pietanza prima di averla ultimata.
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